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Il cellulare consolava la mia solitudine

Il prossimo 25 maggio entrerà in vigore l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento europeo per la privacy. La norma fissa l’età in cui un giovane utente può iscriversi, accedere ai social e navigare su internet: 16 anni. Sia Whatsapp che Facebook, per chi è al di sotto di tale soglia d’età, richiedono il consenso dei genitori per il trattamento dei dati dei propri figli.

Fino ad oggi il limite d’età prefissato era di 13 anni e secondo i dati Telefono Azzurro/Doxa del 2017 il 73% degli under 13 utilizza abitualmente WhatsApp e il 44% dei giovani mente sull’età per poter creare un profilo Facebook. In tal caso, chi ha fra i 13 e i 15 anni, sarà obbligato ad esibire il consenso dei genitori per continuare a condividere sui social informazioni personali indicando un contatto social o un indirizzo email che potrebbe essere di chiunque. Come si suol dire: “Fatta la legge, trovato l’inganno”.

Leggendo questi dati mi chiedo quanto sia estremo il bisogno di fondere e confondere continuamente la vita reale con quella virtuale. Si è così delusi dalla realtà, già nell’adolescenza, che per sopravvivere ci si rifugia in un profilo che ha la propria faccia e in cui si può dare libero sfogo a tutto ciò che non si ha la possibilità di vivere una volta effettuato il Logout.

Mi chiedo quanto sia necessario separarsi dal cuore e dalla mente per piazzarli su una tastiera e uno schermo, alla mercé di milioni di persone, con la sola intenzione di avere un posto in cui si ha la certezza illusoria di essere visti, di esistere. Esistere per un mondo che molto probabilmente non si avrà mai il piacere di conoscere realmente.

La capacità relazionale viene delimitata da una finestra chiamata chat, la paura di non essere abbastanza belli è affrontata con effetti speciali e photoshop, il bisogno di essere apprezzati e la propria autostima dipendono direttamente dal numero di like ricevuti. Il bisogno di essere amati e scelti è soddisfatto da relazioni virtuali o da relazioni di una notte e via. Il bisogno di provare piacere è soddisfatto dai siti porno di fronte cui ci si masturba.

La mia storia di chat dipendenza inizia nel 2007, all’età di 15 anni. Lasciavo fosse il cellulare a consolare la mia solitudine. Lasciavo fosse lo schermo di un PC a dirmi chi fosse Raissa. Ho annegato la mia vita nei pixel ed ero convinta che tutto andasse bene.

Avevo tante amicizie, ho avuto varie relazioni, ad ogni like mi sentivo sempre più importante, ad ogni commento mi sentivo sempre più di esistere, ad ogni chat nuova che si apriva mi sentivo sempre più bella. Tutto finiva nel momento in cui lo schermo del pc diventava nero.

Lui si spegneva e io smettevo di esistere. D’altronde le amicizie non erano amici con cui uscire, i like non erano abbracci, i commenti non erano voci da ascoltare, le chat non erano volti da guardare. Chiedevo di esistere ad un mondo che non esisteva.

Quando si parla di dipendenza, di qualunque natura essa sia, si parla di mancanza. Per quanto mi riguarda la mancanza più grande che ha generato le dipendenze è stata la mancanza d’amore, mancanza che si è creata nel momento in cui la mia capacità di amare e di lasciarmi amare è stata danneggiata dagli eventi della vita e dalle relazioni.

Ho preso consapevolezza di quella mancanza nel momento in cui la comunità e le regole che sono chiamata a seguire hanno limitato la possibilità di rifugiarmi nelle mie abitudini non sane, ed è stato proprio grazie alla comunità che ho individuato quel bisogno più profondo che mi abita e che mi ha permesso poi, con atti di volontà, di tagliare con le dipendenze. Invece che aprire una chat, mi apro ad una relazione e ad una condivisione con le ragazze della mia stanza. Invece che sfondarmi di cibo, mi immergo nello sport. Invece che chiudermi nella solitudine aspettando che qualcuno si ricordi di me e mi chiami, apro la porta della mia stanza e chiedo un abbraccio ad un mio fratello. Sono uscita da me e mi sono lasciata amare.

Sono uscita dalle mie gabbie e ho scoperto la vita. Ho respirato la libertà. Scelgo ogni giorno di farlo. Finalmente, vivo.

Siate coraggiosi, uscite dal guscio ovattato in cui intrappolate e comprimete tutto il vostro essere. Di cosa avete bisogno? Da cosa fuggite? Quale dolore vi portate dentro e non riuscite ad ascoltare? La felicità è un vostro diritto, esercitatelo! Io lo faccio, io sono felice, ed è l’emozione più bella che abbia mai provato.

Raissa F.

 

 

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