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«Debate». La vita in un filo di parole

Capita più spesso di quanto si creda, di vedere a scuola i ragazzi illuminarsi perché hanno toccato la vita. Capita anche quando meno te lo aspetti, e quando meno se lo aspettano. A me succede di vedere questa scintilla quando i ragazzi dibattono.

Il debate è una metodologia complessa. In sintesi: a due squadre (3 vs. 3) viene assegnato un tema controverso, ad esempio: Bisognerebbe abolire i concorsi di bellezza; pochi minuti prima dell’inizio viene sorteggiata la posizione che una squadra dovrà difendere: una Pro, l’altra Contro. Entrambe devono seguire un protocollo preciso di interventi, argomentando e confutando; alla fine una giuria stabilisce chi ha vinto (cioè quale posizione è risultata più convincente secondo determinati criteri).

È faticoso preparare un debate. C’è da costruire un mondo, ogni volta. Con le parole, con i pensieri, soprattutto con l’immaginazione e nel dialogo. Alla fine dibattere è immaginare e dimostrare che ci può essere un mondo migliore di quello in cui viviamo.

Tornando all’esempio citato: che vuol dire abolire i concorsi di bellezza? Quali? Cosa comporterebbe farlo? Quali conseguenze etiche, economiche, sociali, educative? Dunque una società senza concorsi di bellezza sarebbe migliore o peggiore?

Il primo step è comprendere il topic, operazione non facile per molte ragioni scomodanti. Anzitutto perché studiare è difficile. Qui non hai nemmeno i manuali con la pappa pronta; in poco tempo devi guadagnare una competenza profonda sulle questioni, scegliendo le fonti giuste, selezionando informazioni adeguate ed esempi probanti; specie poi se sul topic assegnato si è del tutto o quasi sguarniti (e capita di frequente sui grandi problemi di geopolitica). Capita altrettanto spesso poi che sul tema si abbia già una posizione personale e allora approfondire i pro e i contro vuol dire mettersi in gioco e fare una cosa del tutto inusuale nella comunicazione oggi di moda: accettare di relativizzare la propria convinzione, pur senza cambiarla, sapendo che l’altro ha delle ragioni legittime, che magari il sorteggio ti chiederà di difendere. «Quando si studia un topic bisogna mettere da parte le proprie idee; è bello e allo stesso tempo frustrante costruirsi un’opinione per poi smontarla e costruirne un’altra completamente diversa… capita anche di non sapere più in cosa credere… solo alla fine, dopo aver interiorizzato entrambe le posizioni e valutato i pro e contro, capisci da che parte vuoi stare» parola di Federica, 18 anni di Santeramo (Ba).

Arrivano subito due grandi lezioni dal debate: la complessità e l’ascolto. Entrare in un tema è come scavare e scoprire una città sepolta, girare il risvolto degli eventi e trovarsi fra le mani la trama complessa della società, difronte alla quale è chiaro che capirci qualcosa non è reagire di pancia ai fatti o avere delle intuizioni e delle sensazioni anche motivate.

Le idee sono una cosa seria, nascono sempre nella profondità dell’ascolto, della realtà e degli altri. È una bella spinta a sradicare dalle proprie posizioni gli scudi di difesa personale e le armi di attacco, e avviarsi a divenire persone tolleranti.

Con le mani in pasta (quella del mondo) si modellano poi le idee, che diventano argomentazioni e confutazioni, oggetti logici compositi con una struttura articolata (ancora la complessità!), il corredo con cui si scende nell’agone del dibattito. Nel protocollo previsto da un debate infatti ciascun debater ha la sua parte di argomentazione e confutazione da svolgere, in accordo con gli altri e con la linea unica della squadra; nessuno può cantare da solo, sarebbe fuori dal coro (e penalizzato dai giudici). Non a caso ho parlato di scendere nell’agone: il debate è una competizione, sana, leale, ma aspra, non tollera animosità aggressive, scorrettezze, inganni, ma non risparmia colpi di logica argomentativa.

Non si tratta però un agonismo fine a se stesso, perché il conflitto verbale tagliente che scintilla fra le due squadre è la fucina in cui le idee di ciascuno si provano nel fuoco, si temprano rispondendo agli attacchi avversari, si perfezionano, e da cui emerge l’idea vincente, cioè la migliore visione del mondo proposta. Per questo i ragazzi, tutti, sempre e comunque, alla fine di un debate si abbracciano, perché hanno condiviso l’esperienza profonda di una piccola creazione, dopo aver volato per circa un’ora in giro per il mondo e dietro le sue quinte, dove la trama della storia s’intreccia.

Ed ecco allora altre 5 lezioni che questa metodologia offre: lezione n. 3 il pensiero critico (merce rara anche nei curricoli scolastici); lezione n. 4 la logica (con annessa capacità di elaborare tesi e testi: una cosa che rimane per tutta la vita). Ce le sintetizza efficacemente Chiara, debater 18enne di Brescia: «Dibattere è come far respirare il proprio cervello dopo un lungo periodo di apnea… il completamento di un meccanismo naturale: vole capire, e farlo sul campo». Ancora: lezione n. 5 gestione delle emozioni (parlare in pubblico è già complicato, farlo all’interno di un protocollo preciso è una bella sfida con se stessi!); lezione n. 6 onestà intellettuale.

Qui due parole in più: c’è un codice etico che vigila sui comportamenti e le intenzioni di tutti i debaters, lo ha scritto il prof. A. Snider, padre del debate scolastico mondiale, e prevede che i giovani impegnati in questa attività siano persone rispettose delle regole e degli altri, attente ai bisogni di chi è in difficoltà nella propria squadra e nelle vita, capaci di mettere in discussione le proprie posizioni e se stessi grazie alle critiche ricevute, persone che non usano le parole per barare (non c’è spazio per derive sofistiche), ma per costruire e sostenere. Molto più di un progetto scolastico: un profilo alto di giovani impegnati nel mondo.

Il debate è una di quelle esperienze in cui la scuola può arrivare al suo limite e dire: ce l’ho fatta. Perché ha accompagnato i ragazzi fuori dei propri cancelli, nella società, come giovani responsabili e capaci di dire la loro.

C’è poi un’ultima lezione, la n. 7, che elettrizza tutto il resto: la squadra, la mia seconda famiglia la definisce Chiara. Il debate è un luogo in cui si creano relazioni (che rimangono, sempre), perché le idee nascono in gruppo, e sono le nostre idee e non le mie, perché tutti sono in gioco e ci mettono la faccia, perché bisogna creare per forza un’intesa, altrimenti la squadra è debole, perché lungo il canale di queste dinamiche ci si incontra realmente e spesso si diventa amici. Ed è questa la vita annodata nel filo delle parole: la passione per il mondo, sentire di crescere, farlo con gli altri.

                                                                                                                              Massimo Leone

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