Spiritualità

Chi sono e chi voglio essere. Cinque giorni per ri-cordare

Chi sono io? Quali doni, quali potenzialità, quali relazioni, quale corpo, quale storia. Ma soprattutto cosa voglio fare di tutto questo che ho e che sono?

Sono arrivato a Medugorjie per il corso di Nuovi Orizzonti sulla conoscenza di sé, con la sensazione di non sapere più rispondere a nessuna di queste domande. Segnato da alcuni contraccolpi degli ultimi anni, colpito lì dove mi sentivo più sicuro, a un tratto non riuscivo più a riconoscermi. Le mie capacità, i miei talenti, le mie relazioni, le conquiste: tutto sembrava aver smesso di funzionare, annegato in un timore ad agire che non mi è mai appartenuto, e che è quello che finisce col farti fare gli sbagli peggiori, perché frena la tua mano mentre cerchi di scagliare il sasso contro i tuoi giganti, impedendoti di colpirli con tutta la tua forza.

Ora, non fingerò che in cinque giorni, per quanto belli, la mia vita sia diventata un’altra. Però qualcosa è avvenuto. Spesso i frutti di un’esperienza del genere non sempre si mettono a fuoco subito. A volte è solo l’inizio di qualcosa che va coltivato. Ma qualcosa è successo.

è dalle piccole cose che si parte, dalla concretezza dei gesti di ogni giorno

Ad esempio, da quando sono tornato, tutti i giorni mi alzo in tempo per veder sorgere il sole, e vado a letto massimo a mezzanotte; io che prima stavo sempre a perdere tempo fino all’una o alle due e non mi svegliavo prima delle otto. Questo vuol dire poter andare a messa ogni giorno e avere il tempo per restare in ascolto di ciò che Dio ha da dirmi; dopo che per più di un anno, in seguito ad alcune esperienze dolorose, a fatica tenevo quella domenicale. Inoltre da tre giorni scelgo di lasciare il cellulare a casa e vado a scrivere per tutta la mattina fuori, in un caffè, senza distrazioni; io che avevo trovato nella scrittura la mia voce, ma da tempo non riesco a donarmi in essa pienamente.

Piccole cose, lo so. Ma è dalle piccole cose che si parte, dalla concretezza dei gesti di ogni giorno. Dal rimettere al centro, ciò che è prioritario, per valorizzare anche ciò che non lo è. E per quanto siano pochi giorni, io vedo già che è come se il mio cuore si stesse allargando di nuovo: come se avessi ripreso a sentire chi mi sta intorno; come se avessi ripreso a respirare dopo che per più di un anno ho vissuto in apnea.

Forse una settimana è ancora poco per gridare al cambiamento. Tanto è passato dal mio ritorno. Ma per una volta non voglio pensare al fatto che sia solouna settimana, ma voglio dire che è giàuna settimana.

Un corso fatto di esperienze più che di concetti; di sudore e lacrime, più che di parole. Ma anche di risate. E soprattutto di gioia, quella vera: quella che si sceglie, tenendo lo sguardo sugli infiniti motivi che in ogni singolo giorno abbiamo per dire grazie, e che coesistono insieme a quelli per cui potremmo scegliere di maledire.


Abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia da limite, per fare esperienza di quell’ amore che non conosce limiti

Qualcuno certamente lo avrebbe giudicato troppo “psicologico”, ma io ho sempre ritenuto questo uno dei grandi valori aggiunti di Nuovi Orizzonti e sono stato felice di ritrovarlo anche qui. Non conosco altri cammini nella Chiesa che tengano presenti allo stesso modo tutte le dimensioni della persona: spirito, corpo e anima. E ciò che produce di bene l’ho visto con i miei occhi: quando ogni parte di noi collabora con le altre, tutto riverbera di una luce che si propaga e si moltiplica. Prova ne sia il fatto che il primo frutto di questo tempo sia stato un frutto spirituale: il ritorno all’eucaristia quotidiana.

Certo, cinque giorni non sono sufficienti per trovare tutte le risposte, ma per iniziare almeno a porsi le domande giuste, quello sì. Quantomeno è servito a ri-cordarmi, cioè a riportare al cuore, ciò che veramente conta.

E innanzitutto: mi ha ricordato il bisogno che abbiamo, almeno che ho io, di comunità, di casa, di fratelli con cui condividere il cammino, persino con cui litigare per cose stupide come la temperatura del condizionatore o il sale nella pasta! Abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia da limite, per fare esperienza di quell’amore che non conosce limiti. Perché se da Cristiani crediamo in un Dio che si è fatto carne, allora di certo non possiamo pensare di trovare Dio senza la “carne” di coloro che ci sono messi accanto.

E nella vicinanza con loro, nella condivisione profonda che ogni pomeriggio ci ritrovavamo a vivere, mi sono ricordato un’altra cosa che già sapevo, ma che come molte altre ogni tanto torno a dimenticare: la tua sofferenza non è l’unica al mondo, né la più grave. Tutti stiamo soffrendo. Il mio peso, il tuo peso non è l’unico che esiste. Siamo tutti sulla stessa barca, una barca che naviga a volte su quello che è un vero e proprio mare di lacrime. Ciò che più conta però non è il mare in cuinavighiamo, ma il tesoro che stiamo trasportando, noi stessi, e il fatto che su questa barca non siamo soli. Ci sono i fratelli. E soprattutto c’è il Comandante, Cristo, l’unico che sa come condurci tutti, insieme, ognuno con i propri doni e il proprio piccolo grande peso, alla propria Terra Promessa.

C’è una porta infatti al fondo della mia anima, che conduce a un luogo sacro

E a Lui che bisogna guardare, pertenere la rotta. E quando lo capisci, quando ritorni a lasciarGli il timone della tua vita, quando riprendi a fidarti, non è nemmeno importante sapere quale sarà l’approdo finale, in che forma, o condizione, perché l’unica cosa importante è che lo sappia Lui. E ti fidi che qualsiasi cosa sia, sarà per la tua gioia.

E questa è la terza cosa, la più importante, che mi porto da questo corso: se voglio sapere chi sono, se voglio riprendere a credere nei doni di cui sono custode, se voglio rifiorire come uomo, allora devo tornare ad ascoltare il mio cuore, e al fondo di esso quel bisogno di stare con Colui che di quel cuore è il Centro e di quei doni il fautore.

C’è una porta infatti al fondo della mia anima, che conduce a un luogo sacro, dove nessun altro può entrare a parte me e Colui che ne è possiede la chiave. Un giardino ricco di abbondanza, dal suolo fertile che attende di essere arato e seminato: la mia Terra Promessa, la mia vocazione i cui frutti attendono solo di essere dati.

Questo è il destino scritto nel mio nome.

Chi sono io? Sono Giorgio, Gheorghios, “agricoltore”: colui che semina i semi che Qualcun altro gli ha dato e poi si siede e aspetta con fiducia, alzando lo sguardo da ciò che accade nascosto nel terreno dell’anima, per accorgersi di Chi, accanto a lui da sempre, non chiede altro che di trascorrereinsieme il tempo dell’attesa.

Giorgio Ponte

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